Avevamo già
parlato della recente ricerca condotta dalla ‘School of Management’ del
Politecnico di Milano, da cui è emerso che su un campione di ben 108
direttori risorse umane delle principali aziende italiane a cui è stata
sottoposta l’indagine, il 58% utilizza siti esterni come canale di reclutamento
e pubblicazione annunci. Oltre a ridurre complessivamente i tempi di
contatto e risposta tra domanda e offerta, l’uso dei social network esterni
costituisce un valore aggiunto rilevante, non soltanto dal punto di vista
dell’azienda ma anche per le modalità di presentazione di cui si possono
avvalere i candidati, dando maggiore visibilità al proprio profilo.
Un’indagine americana condotta da Bullhorn
Inc. di Boston ha dimostrato che nel 2011 l’uso dei social networks quale
strumento di recruiting sia diventato sempre più importante. I tre social
analizzati Linkedin, Twitter, Facebook rappresentano la massa d’urto che i
recruiters vanno a scandagliare per reperire i potenziali candidati ma non solo
attraverso l’analisi e studio delle esperienze professionali (LInkedin) ma
anche attraverso lo studio di quanto pubblicato su Facebook o su Twitter ed
utilizzato in ambito di marketing e non solo.
Si può arrivare all’assurdo che un candidato con
tutti i requisiti professionali richiesti da una azienda, ad es.
inglese, possa venire scartato perché ha pubblicato un post su Facebook
dove esprime un giudizio politico poco neutrale.
Gli Head Hunter (cacciatori di teste) e i
Responsabili Risorse Umane nel momento in cui pensano di aver trovato la
persona giusta per le loro esigenze aziendali (o anche preventivamente)
iniziano un’opera in stile KGB: vale a dire spulciano i post pubblicati
dal candidato, guardano le foto e valutano le opinioni politiche, religiose,
eccetera, in modo da farsi un’idea più ampia (che poi il più delle volte è
preconcetta) sul carattere del candidato.
Per questo motivo bastano poche precauzioni per
evitare queste operazioni di “spionaggio” :
1. evitare di cliccare “Mi Piace” sul link
dell’azienda dove si va a fare il colloquio (o dove si verrà assunti);
2. cancellare i post che si possono ritenere lesivi della propria immagine oppure quelli dove si parla male del precedente datore di lavoro;
3. restringere le maglie della privacy (ad esempio su Facebook) in modo che la bacheca possa essere consultata solo dai Vostri amici se pensate che vi siano considerazioni compromettenti per il vostro futuro lavorativo;
4. dare un’unica versione di se stessi se si utilizzano più Social (Facebook, Twitter, Linkedin, ecc.) in modo da facilitare l’interpretazione del proprio profilo agli addetti ai lavori, evitando di commentare in maniera differente lo stesso evento sui diversi Social.
2. cancellare i post che si possono ritenere lesivi della propria immagine oppure quelli dove si parla male del precedente datore di lavoro;
3. restringere le maglie della privacy (ad esempio su Facebook) in modo che la bacheca possa essere consultata solo dai Vostri amici se pensate che vi siano considerazioni compromettenti per il vostro futuro lavorativo;
4. dare un’unica versione di se stessi se si utilizzano più Social (Facebook, Twitter, Linkedin, ecc.) in modo da facilitare l’interpretazione del proprio profilo agli addetti ai lavori, evitando di commentare in maniera differente lo stesso evento sui diversi Social.
CORSI DI FORMAZIONE ON LINE
La domanda che in questi
ultimi anni attanaglia i ricercatori, gli studiosi e gli esperti della
formazione è la seguente: ma siamo proprio sicuri che
frequentare un corso di persona e tramite la mediazione di un computer sia lo
stesso? E se non lo è, i vantaggi
superano i fattori negativi?
I CONTRO
Il
primo dubbio riguarda la possibilità di evitare che gli studenti, al riparo
dietro ai loro monitor, possano imbrogliare.
Un problema di cui molti sono bene al corrente e al quale stanno
tentando di porre immediatemente rimedio.
Questo
pone immediatamente un altro problema circa la privaci dello studente: se guardiamo
lo studente; guardiamo i loro monitor, guardiamo i loro computer, guardiamo il
movimento dei loro occhi, viene spontaneo chiedersi se misure tanto invasive
siano rispettose della privacy degli studenti, e che sarà dei loro dati una
volta concluso il corso, o anche solo spento il computer.
A parte le questioni tecniche,
entrano in gioco poi fattori prettamente pedagogici.
Tra gli scettici, infatti, ci si
chiede che cosa comporti la mancanza di lavori di gruppo, di contatto fisico e
rapporti umani: «Lo
schermo di un computer non sarà mai più che un’ombra di una buona classe
all’università», secondo Carr.
C’è anche chi sottolinea che
l’equiparazione dei MOOCs a corsi veri e propri renderà impossibile per gli
insegnanti imparare dagli studenti: perché l’insegnamento, argomenta, «è
questione di dialogo».
I PRO
Prima di tutto i corsi a distanza non mirano a sostituire interamente i corsi da
frequentare con la propria presenza fisica, ma a fornirne un complemento.
Poi c’è la questione monetaria: se
è vero, come sostiene Koller, che «i costi crescenti dell’educazione superiore
hanno avuto un impatto devastante sugli studenti», l’e-learning rappresenta una
soluzione potenzialmente efficace, essendo o gratuiti o più economici.
I corsi a distanza permettono una fruizione senza costrizioni di
luogo e tempo, e questo sicuramente avvantaggia lo studente che puo’ seguire
quando ne ha voglia, questo permette un’apprendimento volontario e quindi
migliore.
Una sorta di democratizzazione dell’istruzione, accessibile e disponibile per tutti gli studenti.
Più
in generale, è aprendo la riflessione al contesto socio-economico prodotto
anche dal digitale che attenti osservatori della realtà contemporanea individuano
una tendenza favorevole alla sempre maggiore integrazione dei corsi di massa su
Internet nel sistema dell’istruzione avanzata.
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